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A volte, quando si è un grande scrittore, le parole vengono così in fretta che non si fa in tempo a scriverle... A volte. (Snoopy)
 

 Attualità - giugno 2007
Caterpilleide (di Fabrizio Rabottino)

Senigallia 11-17/06/2007 raduno 10 anni di Caterpillar

“Cosa scrivi?”
Alda mi porge la sua bottiglietta di birra equa e solidale.
“Sono 7 gradi...”
La guardo indeciso tra l’esultanza “accipicchia 7 gradi!”o la delusione “solo 7 gradi”:
“Sono tanti sette gradi Alda?” tracanno un sorso. “Nespole Aldina! come se ci avessero spento un mozzicone di sigaretta dentro!”
“Torba! Ingnurant. E’ una birra torbosa…” allunga la mano per riprendersi la bottiglietta. Lei e i suoi amici bevono queste cose. Per me la birra è un liquido giallino, freddo con la schiuma allegra sopra. La agito per vedere se sul fondo si veda il mozzicone. Non c’è.
“Non fa neanche la schiuma questa roba”. Riprendo il manifestino su cui sto scrivendo.
“Che scrivi allora?”
“Una poesia” non la guardo ma so che ride.
“Sei euforico per metterti a scrivere a quest’ora” in effetti sono le due del mattino, sulla piazzetta è finito il concerto per il compleanno di Caterpillar. Sono due giorni che facciamo l’alba con la musica. Siamo sudaticci come due adolescenti.
“Confessa Aldina che ti sei divertita come una mucca!” la mia sufficienza si vede anche sotto il lampione “fino a due giorni fa non sapevi neanche cosa fosse Caterpillar e adesso hai la maglietta commemorativa, sei piena di gadget antimafia, anticonsumo, anti tutto,  ti sei comprata pure i cd di tutti quelli che hanno suonato, Banda Osiris, Ska-j, Nomadi, Bollani…. Spinetti&Magoni… Pelù, Stazioni Lunari..”

Piero Pelù. concerto delle 6 di mattina cirri e solibello all'alba


“Stai facendo la formazione o il conto?...” si rigira tra le mani la decina di copertine. “Pelù e i Nomadi non li ho comprati… stavano già a casa… comunque sapevo cosa fosse Caterpillar”. Fa la voce soft da speaker: “RAI 2, 18.30 dal lunedì al venerdì, conducono Massimo Cirri e Filippo Solibello…, la senti da anni. Me l’avrai detto migliaia di volte. Pensa che la sente anche il decenne tuo figlio...”. Cerca di sbirciare sul foglietto che  copro con la mano: “Piuttosto hai fatto caso quanti pochi giovani ci siano? Tantissimi ultra quarantenni e trentenni, ragazzi no… o molto pochi”.
“Si avevo notato” riprendo a scrivere “in spiaggia c’era un tripudio di topless come frittelline con al centro l’amarena…..”
Alda tenta di pizzicarmi il braccio “non ti azzardare...”
“Niente violenze Aldina...”
“Hai notato” riprende tra un sorso e l’altro “che è un continuo ti prego, ma figurati, per carità, prima tu, permesso… ecc… sembra la sagra della gentilezza... per comprare la birra sono passata davanti alla fila… a Milano mi scuoiavano… qui tutti tranquilli”.
“Non ti piace? E’ il popolo di Caterpillar... visto che a fine concerto quasi non c’è una carta per terra?” scrivo le ultimi righe velocemente.
“Si avevo notato. Anche ieri. Anzi sempre. Pensavo che qui a Senigallia avessero spazzini invisibili velocissimi.” Alda sta per lasciare la bottiglietta sul bordo del marciapiede. La guardo incredulo.
“Scherzavo!”

pau (negrita) con Stazioni Lunari

“No, è il popolo di Caterpillar… che non sporca, che quando compra un libro non ha bisogno del manuale di istruzioni d’uso… che compra i giornali e li legge pure!!...” mi schiarisco la gola e cerco con lo sguardo il fondo della bottiglietta “sai che alle 8 di mattina erano finiti tutti i quotidiani!? Volevano darmi o La Padania o Il Giornale……..”
“Si, tutti colti, pazienti, divertenti… ma l’antiretorica ha la sua retorica?” imita la voce di Cirri “Agghiacciante, quel che resta di un uomo, la democrazia” mi porta via il foglietto “ma non è che siete una tribù e seguite una vostra moda?” stenta a trovare un angolo illuminato per leggere. Le allungo una scatolina arancione “Auguri Aldina, hai compiuto gli anni come Caterpillar e la Banda Osiris” mi riconsegna  il foglietto sorridendo come sa fare per il suo compleanno e a Natale “Grazieeeeeee” ulula “leggi su!”
“Alda...”
“Si...” interrompe di esaminare il fiocco
“Ho un’altra donna…”
“Me lo dici tutte le volte… anzi mi dicevi… Alda ho altre donne… cos’è l’età? Si invecchia? Su leggi!”
“No, con gli anni sono diventato solo più modesto..”

Il concerto della sera
È di certo cosa ambita
per chi come noi spera
di godersi un po’ la vita

Era buia questa notte
E stonato forse il suono
Su non datemi le botte
Che stasera faccio il buono

Qui non c’è manco il biglietto
Sulla sedia starò cheto
Non prendetemi di petto
O mi scappa un forte peto

E il peto lo sapete non è certo cosa ambita
Per chi come noi spera di godersi un po’ la vita

“Deficiente”
“Ti amo Aldina. Auguri!”

 

Nelle mani giuste - Giancarlo De Cataldo (di Nicoletta Bartolini e Gianfranco Maccaglia)


 

Una storia che comincia dove Romanzo Criminale finisce”: questa l’intenzione annunciata. E non perché sia  il seguito del precedente libro, bensì soltanto perché si occupa dei dieci anni successivi.
La precisazione è in apertura dell’incontro con Giancarlo De Cataldo presso la libreria Feltrinelli di Roma, introdotto e supportato da Conchita De Gregorio (scrittrice e giornalista, ha pubblicato “Una madre lo sa. Tutte le ombre dell'amore perfetto”  e “Non lavate questo sangue”).
Noi abbiamo potuto apprezzare personalmente De Cataldo durante una Lectio Magistralis di qualche mese fa sulla letteratura di genere (tenuta presso la Scuola Omero di Roma), durante la quale, in veste di docente, affrontava tra l’altro il tema “Come non restare inediti a vita”: un incoraggiamento e uno sprone per tutti i giovani aspiranti scrittori.
Senza ipocrisia, De Cataldo sottolineava come raramente chi scrive lo faccia per nascondere davvero il romanzo nel cassetto: il desiderio di chi scrive è quello di essere pubblicato.
Il mondo dell’editoria, però, è una struttura quasi inscalfibile, purtroppo, nella quale è difficile inserirsi, a meno di essere un genio oppure un “nato bene”.  Ma… c’è un “quasi”. Esistono delle crepe e il “trucco” è riuscire a individuare lo spazio giusto, il momento perfetto per centrare l’obiettivo. Ovviamente, fattore determinante è la fortuna. Non soltanto però.  Dietro ci deve essere un lavoro incessante, attenzione al linguaggio, all’intreccio, alla credibilità dei personaggi, all’interazione del loro movimento. Il romanzo – in particolare quello di genere  giallo e noir - è soggetto a delle regole dalle quali non si può prescindere.
Parla e affascina De Cataldo, non sappiamo bene se grazie al suo carisma di scrittore o alla sua esperienza togata.  Il fatto è che ci fa venire voglia di scrivere, di insistere, di restare ore e ore su una pagina, a limare le frasi, a creare i personaggi e concatenare le azioni, a mettere anima, cuore e cervello dentro ogni parola, senza stancarci mai.

 

Ce la possiamo fare, tutti ce la possono fare.
E anche lui, ci riprova, con questa nuova opera che - viene sottolineato - si basa sulla conoscenza diretta di quegli anni, sullo studio di documenti giuridici, sentenze, reportage e quant’altro. Ricostruito il quadro degli eventi, piuttosto che redigere un saggio, De Cataldo ha  preferito costruire dei personaggi e una storia, dimostrando grande padronanza nel gestire l’intreccio  tra invenzione e realtà.
Insomma l’autore sembra riproporre ai suoi lettori la maestria dimostrata nel gestire un testo fortunato come Romanzo Criminale.
E ci presenta quindi questo lavoro come un romanzo storico di restituzione di una verità  sui misteri italiani, che si ferma alla vigilia della discesa in campo di Berlusconi.
Ritroveremo la donna del gangster Patrizia, di cui finalmente si conoscerà la storia precedente, e Nicola Scialoja il poliziotto sopra le righe. Oltre a una gran quantità di nuovi personaggi, come il Vecchio Comunista, Stalin Rossetti, ecc..
Giancarlo De Cataldo e Conchita De Gregorio parlano diffusamente della storia di quegli anni, dell’Italia di ieri e di oggi, dei personaggi che danno vita al nuovo romanzo, dell’attento lavoro che ha preceduto l’edizione del libro.

Dalla quarta di copertina:
“Dall'autore di Romanzo criminale un nuovo romanzo-affresco che getta una luce nera sull'epoca in cui siamo tuttora immersi. L'epoca segnata dalle stragi di mafia.
Sotto il segno della convenienza, persone diverse, con progetti diversi, si ritrovano a essere le pedine di un disegno folle.
O forse no.
Si tratta di consegnare l'Italia nelle mani giuste.
Delitti e passioni si intrecciano con bombe e affari.
Una donna che doveva solo tradire trova il coraggio di amare.
Mentre le vite e i destini si consumano, e la speranza si rifugia nel cuore stesso dell'inferno”.

Una questione rimasta nell’aria, una domanda che avremmo voluto fare, ma abbiamo evitato: chissà se un giorno potremo rileggere il De Cataldo che più ci piace? Quello dei Teneri assassini per intenderci. Ci piacerebbe riascoltare la voce del Giancarlo De Cataldo che, seppur invischiato in una professione dove il cuore viene dopo il codice, lascia più ampio respiro al narratore… una sorta di Dylan Dog indagatore di un incubo, reale quanto la cronaca vera.

Alla fine della presentazione, una sorpresa per gli amici di “tuttiscrittori”:

 

 

Una copia del libro con dedica personalizzata dell’Autore. Questa copia verrà messa in palio nel corso del prossimo QUIZ!
Intanto, cominciamo a leggere insieme il prologo:
“Campagna casertana, estate 1982

L'uomo che dovevano eliminare si faceva chiamare Settecorone. Sicuro di sé fino alla spavalderia, si nascondeva in un casolare in pieno territorio dei Casalesi, dalla parte degli infedeli, protetto da una rete d'informatori che avrebbero dovuto garantirgli l'inviolabilità del nascondiglio. Per sua disgrazia, uno di costoro, un mariuolo di Acerra, era da tempo sul libro paga della Catena. Il Vecchio aveva girato la pratica a Stalin Rossetti.
-Ma perché? È una storia loro!
-Infatti. Il suo intervento si limiterà a una semplice copertura. Se nota qualcosa di strano, si esfiltri immediatamente.
Cosi, ora Stalin se ne stava a fumare appoggiato alla Land Rover nascosta nel folto di una macchia di pini stitici, a cento metri dalla via Domitiana e a vista del casolare. In un pomeriggio da spaghetti-western, in questa campagna da spaghetti-western di guappi, zoccole e povericristi che nessuna azione umana, nessun miracolo divino avrebbero mai potuto riscattare dalla loro irredimibile banalità da spaghetti-western. Il camorrista incaricato dell'esecuzione, Ciro 'o Russo, si era avviato da un paio di minuti. Era un tipo grasso e ansimante che mascherava un antico puzzo di cipolle sotto litri di acqua di colonia modello «chella che costa 'e cchiù».
Stalin fumava e rifletteva. Affare di camorra, ma anche affare di Stato. E come sempre, alla fine il gioco sporco toccava a loro. Alla Catena.
Questo Settecorone era uno dei sicari più affidabili di don Raffaele Cutolo. Doveva il nome alle corone che portava tatuate sulla spalla destra in ricordo dei nemici ammazzati: sette corone, sette scalpi. Ma non scalpi qualunque, ché di quelli non si curava più di tenere il conto. Scalpi, per cosi dire, qualificati. Da capozona in su, e una volta persino un sindaco che teneva la fissazione della «legalità». Un duro, uno che non molla, fedelissimo al capo che gli aveva dato istruzione, ruolo, prestigio. In altre parole, una speranza. Poco più di un anno prima, quando le Brigate rosse avevano rapito l'assessore Ciro Cirillo, e le alte sfere avevano deciso che avrebbero fatto per Cirillo quanto in precedenza avevano orgogliosamente rifiutato di fare per Aldo Moro, e cioè trattare con i sequestratori, Cutolo si era rivelato un prezioso alleato. Grazie alla sua mediazione, Stato e terroristi avevano raggiunto un soddisfacente accordo, e l'ostaggio era stato liberato dopo tre mesi di prigionia. I compagni combattenti avevano ottenuto un po' di quattrini da reinvestire nella lotta per la liberazione del popolo dall'oppressione capitalistica. A Cutolo erano state fornite ampie garanzie: mano libera contro i clan rivali e un occhio di riguardo sugli appalti per la ricostruzione delle terre devastate dal terremoto del novembre 1980. Anche qualcos'altro era stato garantito a Cutolo. Un intervento deciso sulla sua tragica situazione giudiziaria. Ora, non era ben chiaro quale attacco di follia avesse posseduto il capo della Nuova camorra organizzata nel momento in cui aveva dato il via libera all'operazione. Perché solo un folle poteva illudersi che lo Stato avrebbe veramente tirato fuori dalla galera un carcerato seppellito da secoli di condanne. Esistono limiti che nessuno, nemmeno il Vecchio, avrebbe mai osato varcare. Primo fra tutti, il limite della convenienza. Si era già fatto troppo per Cutolo, e questo Cutolo, che passava per capo saggio e prudente, avrebbe dovuto capirlo. Invece, smaltita l'euforia per la favorevole conclusione della trattativa, Cutolo non solo non si era dimostrato all'altezza della sua fama di uomo di mondo, ma aveva alzato il tiro. Il riconoscimento della seminfermità mentale non gli bastava. Evitare le carceri di massima sicurezza non gli bastava. Cutolo voleva la libertà. Cutolo pretendeva la libertà. Dalla sua cella partivano messaggi tanto espliciti quanto inquietanti. Cutolo minacciava rivelazioni e minacciava stragi. Il tutto era inaccettabile. Un po' alla volta, pertanto, con discrezione ma anche con decisione, si era consentito ai vecchi clan di rialzare la testa. Il predominio militare dei cutoliani era stato rimesso in discussione da una serrata e intelligente controffensiva. I suoi uomini venivano inesorabilmente decimati. E adesso toccava a Settecorone.
Stalin accese un'altra sigaretta con la cicca. Ma quanto ci metteva, 'sto Ciro 'o Russo? Era già entrato? Secondo l'informatore, l'infame era solo, e per quanto abile potesse essere nel tiro, con il fattore sorpresa dalla loro, non avrebbe dovuto avere scampo.
Filtrò l'eco di uno sparo. Bene, storia conclusa, si disse Stalin, preparandosi a risalire sulla Land Rover. Poi arrivò il secondo sparo. E il terzo. E il grido. Stalin armò la calibro 22 e si mise a correre zigzagando verso l'edificio. Un altro grido. La porta era socchiusa. Stalin entrò. Quello che vide non gli piacque affatto. L'interno era insospettabilmente lussuoso: due divani, un piccolo televisore, tappeti, un volgare acquerello con una marina e il Vesuvio sullo sfondo. Lo stato delle cose fu subito chiaro agli occhi di Stalin. L'infame era andato. Un buco al centro della fronte. Ma l'informatore era stato impreciso. C'erano una donna e un ragazzo. La donna stava morendo. Ancora giovane, un po' sfatta, si lamentava piano, scossa da un tremito rassegnato.
Il ragazzo, semisvenuto, si massaggiava la testa. Poteva avere tredici-quattordici anni. Alto, magro, scuro. Ciro 'o Russo bestemmiava, tentando di sfilarsi dalla coscia sinistra la lama di un piccolo coltello. Sui calzoni color cachi si andava allargando una vasta macchia di sangue.
- 'Stu bastardo! Accirile, Rosse', accirile e jamme!
Stalin valutò con freddezza la situazione. 'O Russo era entrato e aveva fulminato Settecorone. La presenza della donna e del ragazzo l'aveva colto di sorpresa. Aveva sparato d'istinto alla donna. Il ragazzo gli era saltato addosso ferendolo alla coscia. 'O Russo se n'era liberato scaraventandolo contro il muro. Il ragazzo aveva avuto coraggio.
- Accirile, cazzo, ho perso la pistola, accirile, chillu fetiente!
Il ragazzo era riuscito finalmente a mettersi in piedi. Barcollava, faticando a inquadrare la scena. Ciro 'o Russo urlava e bestemmiava. Stalin raccattò il revolver del camorrista. La donna aveva smesso di lamentarsi. I suoi occhi spalancati fissavano il soffitto. Occhi verdi.
Stalin si avvicinò al ragazzo e indicò la donna.
- È tua madre?
Il ragazzo fece segno di no con la testa.
- Ma che cazzo stai aspettando? Spara, strunze, e jammuncenne!
Stalin mise l'indice sotto la gola del ragazzo e lo costrinse a guardarlo. Aveva gli occhi azzurri. Occhi disperati. Stalin Rossetti detestava i martiri e gli eroi. Ma sapeva riconoscere a prima vista un combattente. Quel ragazzo era un combattente nato. Quel ragazzo meritava di vivere.
Stalin gli porse il revolver di Ciro 'o Russo.
Il camorrista urlò e fece per avventarsi.
Il ragazzo sparò. Ciro 'o Russo si avvitò su se stesso, ma non cadde. Il ragazzo sparò ancora, e ancora. Quando il caricatore fu esaurito, Stalin gli sfilò delicatamente dalle mani l'arma arroventata.
- Come ti chiami?
- Pino. Pino Marino.
- Vieni con me, Pino Marino.
Il ragazzo chinò il capo. E scoppiò a piangere.”

www.tuttiscrittori.it                                                                                13 giugno 2007

Calvario e calvados (di Tutanrab)

L’uomo sceso dalla macchina guardò di sottecchi la struttura bianca verso cui portava la scaletta. Gli inservienti stavano posizionandola, controllando gradino per gradino che fosse solida e sicura… Emise un impercettibile sbuffo tra le labbra.
Girò la testa verso i segretari che si affannavano nei preparativi. Gli uomini della sicurezza si muovevano nervosi come ballerini. Finalmente incrociò lo sguardo di un giovane assistente, sorrise e accennò a sollevare un dito dalle mani giunte. Subito il giovane prete si avvicinò alla piccola figura bianca.
“Santità…”
“Don… non ricordo più zuo nome mi spiace…” Il Pontefice parlava mantenendo il sorriso appena accennato.
“Sono solo un umile…” il prete si schermì abbassando la testa. Una rapida alzata del dito ne interruppero il gesto.
“Lasci stare... io quassù non salgo… cosa è questo?” sussurrò dolcemente indicando con il movimento degli occhi  la struttura bianca.
“Il mezzo meccanico che deve portarla in processione, Santità” il prete riabbassò la testa sia per rispetto, sia per cogliere meglio le parole che il Pontefice, più basso di lui di 2-3 spanne, sussurrava appena.
“La strada tra Santa Maria Maggiore e San Giovanni, Santità, è lunga e il cerimoniale della processione del Corpus Domini prevede che Lei venga portato su questo mezzo” il prete aumentò la superficie del suo sorriso.
“Grazie, ma mi dica meglio cosa é...” sussurrò abbassando la testa anche il Pontefice.
“Giri intorno al mezzo, io zono Papa non posso girare attorno come meccanico per controllare pressione gomme, zia gentile guardi e mi dica”.
Il prete obbedì pur non capendo cosa esattamente dovesse guardare. La pressione delle gomme era sicuramente una battuta. Girò attorno al mezzo oltrepassando gli uomini della sicurezza che provavano il funzionamento degli auricolari.
“Santità…”
“Mi dica don…” il Papa teneva le braccia alzate permettendo la vestizione dei paramenti sacri. L’assistente si avvicinò all’orecchio del Papa.
“Si tratta, Santità, di un camion con una struttura di tende bianche, sul pianale è stata montato un inginocchiatoio…
“Verniciato in oro..” lo interruppe il Pontefice.
“Sì, dorato” confermò il prete iniziando a capire.
“...e con baldacchino di verdura… come si dice in italiano?” lo interruppe ancora.
“Non so esattamente…” la voce dell’assistente iniziava ad essere meno ferma “credo che il baldacchino sia stato addobbato con festoni di fiori.”
“Zia gentile, chiami responsabile del cerimoniale e dica che io lì sopra non ci salgo, lei è zuo assistente giusto?” il sorriso del Papa ora era soltanto una riga sottile.
Voltò lo sguardo chiudendo la conversazione, pazientemente infilò il capo nell’apertura della pianeta dorata che dall’alto gli assistenti gli porgevano.
Il prete cercò nelle tasche il cellulare giusto, digitò più volte il nome del suo superiore trovando la linea spenta. Provò i nomi di tutti i cardinali, prelati, assistenti della catena gerarchica sopra di lui che potevano avere qualche potere. Nessuna risposta. Solo solerti segreterie comunicavano l’indisponibilità a poter essere raggiunti.
“Santità...” si avvicinò al Pontefice ormai completamente vestito di giallo oro “Santità, mi scusi. Non riesco a raggiungere nessuno. Dobbiamo far rispettare il cerimoniale…”
“Dobbiamo?” il bastone pastorale oscillò pericolosamente nelle mani del Pontefice.
“Io lì sopra ho detto che non salgo, non ha notato la rassomiglianza con vostro carro di carnevale di Viareggio? Io dovrei essere pupazzo inginocchiato sopra?” le parole pronunciate con calma e dolcezza non avevano lo stesso effetto nel sistema nervoso dell’assistente. Dentro la tonaca sentì mancare il respiro.
“Santità la sua automobile scoperta è in Vaticano. Ci vorrebbe più di un’ora per farla arrivare quaggiù...” la lingua ormai inciampava sui denti ad ogni parola.
“Allora vado a piedi…” gli occhi piccoli del Papa erano fissi sul viso dell’assistente.
“Santità. Per motivi di sicurezza Lei non può andare a piedi. Sono alcuni chilometri e con il personale del servizio d’ordine che si agita attorno a lei sarebbe…..”
“Mi dica cosa zarebbe, zia gentile...”
“Sarebbe peggio del carnevale di Viareggio... sembrerebbe il carnevale di Rio...”
Il Pontefice si appoggiò al Pastorale. Sospirò avviandosi verso la scaletta.
“Lei sa don… prima o poi mi ricorderò il zuo nome, che non finisce qui. Con l’aiuto di Nostro Signore e del Papa, che sono io, non finisce qui… arrivederci don...”  sorrise ancora impartendogli una rapida benedizione.
Dall’altra parte di Roma, nella città del Vaticano, un 32 pollici a cristalli liquidi era sintonizzato sulla diretta della processione. Alcune berrette rosse stavano appoggiate sul tavolino di fronte accanto a dei bicchierini da liquore.
“Incredibile come la definizione di questi schermi riporti ogni minimo dettaglio… quelle sono goccioline di sudore sulla fronte del Santo Padre? Non è vero?...”
L’uomo seduto compostamente sulla poltroncina porse il suo bicchiere verso la bottiglia ambrata che gli veniva avvicinata.
“Già, realistica come trasposizione del Calvario.. un altro dito di calvados eminenza?..”

 

Tricolori (di Nicoletta Bartolini)

Un sabato di nuvole e vento, squarci improvvisi di sole. Un giro al centro di Roma proprio oggi, festa della Repubblica. Lungo la strada cartelli che fino a ieri non avevo notato: “Ci sono giorni che fanno parte della nostra memoria anche se non li abbiamo mai vissuti”, un sorriso pulito e felice che ricorda un tempo che fu. Mi colpisce un minuscolo accenno di Tricolore nell’angolino in basso a destra.
A Piazza Venezia, invece, la bandiera è aperta, mossa da un soffio leggero:

C’è grande folla e arrivo in ritardo, in realtà senza un’intenzione precisa. Io alla parata? Giammai! E invece, quasi fuori tempo massimo, conquisto un gradino in mezzo ai turisti,  mentre sfilano i Carabinieri:

Mi guardo intorno, chissà perché oggi lo sguardo è attratto dal rosso, dal bianco, dal verde: una bimba, dalla sua posizione privilegiata, le spalle di papà, agita il piccolo Tricolore, guardando altrove:

 Ed ecco un’altra bandiera, impettita e al passo, però:

Poi, dopo i cavalli… sfilano le “forze di pulizia”!

E finalmente loro, le mitiche Frecce!

La festa è finita, ultime tracce della scia tricolore sfumano nel vento. Tutti via, piano.

 La folla si scioglie, lo sguardo cade intorno distratto, in mezzo alle persone in movimento e…

Ci sono giorni che fanno parte della nostra memoria anche se non li abbiamo mai vissuti”. E ce ne sono altri, che proprio perché li abbiamo vissuti, abitano i nostri ricordi e suscitano strani – a volte buffi e inaspettati - accostamenti di pensieri… che è difficile controllare. Altra folla, altre bandiere, mille Tricolori:

(Circo Massimo, Campioni del Mondo 2006)

- Oggi di nuovo spaghetti pomodoro e basilico, immagino… – mi volto e rispondo con un sorriso a chi mi riporta tenacemente con i piedi per terra.
Ha ragione, a pranzo ancora bianco, rosso e verde…

 

Le vite degli altri

“Come è a ndata al cinema?”
Alda si massaggia il dorso delle mani. In attesa della risposta osservo i movimenti consueti con cui fa sparire tra le dita la crema emolliente versione “notte”. Delle volte non capisco come facciano le dita a non schizzarle via per la troppa lubrificazione.
“Allora?”
Pigio a caso i tasti del telecomando.
Aspetto che giudichi le mani sufficientemente idratate e ringiovanite dal trattamento.
“Ti chiedevo se ti era piaciuto il film, <Le vite degli altri>. Allora, come è andata? E’ piaciuto a te e alle tue amiche?
Si accomoda meglio sul divano incrociando braccia e gambe fingendo di seguire il mio girovagare tra i canali tv.
“Come sempre mi avevi dato un’informazione sbagliata” - dice cercando di sradicarmi il telecomando – “Il film è molto bello. Un piccolo film, ma veramente bello”
Spesso io e Alda per risparmiare sulla babysitter vediamo i film separatamente. Sono le nostre serate di libertà.
“Non capisco come tu abbia potuto definirlo medio, al massimo carino” - riesce ad appropriarsi del controllo televisivo – “...è veramente un bel film..”
La guardo con sufficienza:
“Vi sarete mica commosse? Tu e le tue amiche?”
Posiziona l’immagine su una televendita, sapendo che mi infastidirà.
“I film non li giudico in base al fatto se mi commuovo o meno. Non sono quel tipo di donna. Comunque mi sono commossa” - scorre due o tre canali e ferma su un reality.
“L’attore che fa l’agente HGV XX/7 è bravissimo e il suo personaggio è molto tenero” - il reality mostra una cucina con delle donne che parlottano - “ e poi la storia è veramente toccante. Ti rendi conto come erano ridotti a vivere neanche 30 anni fa?”
Sposto prudentemente il pacchetto di sigarette. Se si infervora accenderà una sigaretta e io dovrò abbandonare la conversazione per asfissia.
Segue il mio gesto, ma è troppo concentrata per darmi un ceffone. Continua soprapensiero:
“Io credo che non ti sia piaciuto perché ti è difficile accettare che nei paesi socialisti si vivesse in quella maniera. Sotto perenne controllo, con i politici corrotti….”
Il tono della voce le cambia per l’involontario umorismo. L’articolo sullo scandalo Telecom e la corruzione dei politici fa ancora bella mostra di sé sul tavolino sotto i miei polpacci.
“Non credo…” - l’interrompo mentre sul video due massaie si insultano ferocemente - “... che per i sensi di colpa che abbiamo verso chi ha vissuto sotto il comunismo, dobbiamo farci piacere qualsiasi denuncia a prescindere...” - le massaie intanto sono passate alle mani - “..io ho trovato semplicemente la storia mal raccontata”.
“Perché..?” mi interrompe e interrompe la rissa tornando su una televendita di pentole. Peccato, la rissa aveva un suo valore pugilistico e le massaie seminude avevano non più di vent’anni.
“Allora? Perché è una storia mal raccontata? Ha preso l’oscar come miglior film straniero…..”
“L’oscar lo danno gli americani che notoriamente sono filocomunisti….., poi di cinema non è che ne capiscano molto…” - sottolineo interrompendola a mia volta.
“Nel tuo giudizio c’entra forse il fatto che il tuo eskimo è nell’armadio e da qualche parte nascondi la borsa di tolfa…”
“Ti ricordo che già dal ’56... il partito comunista italiano...”
“Nel ’56 eri a meno 5 anni dalla tua nascita, quindi parla per te… e poi resta al film… perché la storia è mal raccontata”?
“Scusa, l’agente C1…”
“quello è il droide di guerre stellari, non banalizzare…” - puntualizza facendomi una smorfia  mentre si sposta verso le sigarette.
“Comunque l’agente della Stasi, quello dallo sguardo più freddo e gassoso dell’azoto, prima è cattivissimo, tiene un corso di studi in cattiveria, va a teatro e sospetta tutti, compresi gli oggetti inanimati, di cospirare contro il partito… poi, non si capisce come, i suoi begli occhioni bluissimi gli diventano quelli di un coniglietto buono, copre i tradimenti di quelli che lui ha proposto di spiare. Arriva persino a nascondere le prove del misfatto dei cospiratori per poi finire, dopo la caduta del muro di Berlino, a tirare il carrettino dei volantini pubblicitari”.
“Cos’è? Critica del consumismo occidentale?...” - sorride ironica.
“No, anche se mi sembra banale come finale, anche peggio il finalino con la gigantografia dello scrittore vessato sotto il regime e poi osannato con panterona al fianco mentre assiste ammirato alla sua commedia, che non per dire… mi pareva brutta nella versione socialista con le operaie e peggio in quella novelle cousine post moderna..”
Copre il sorriso con la prima nuvoletta di fumo. Non accetterà di darmi ragione, ma ha sorriso.
“Tu..” - riprende soffiando sul cuscino con cui mi faccio schermo dal fumo - “ mi sa che non hai mai accettato la caduta del muro e dell’utopia socialista... ne hai nostalgia? Eh?..”
“Forse eravamo solo più giovani” - guardo malinconico lo scorrere di una pubblicità erotica, cambio pudicamente canale e ricompaiono le massaie in abito da sera.
Alda mi soffia un'altra nuvoletta contro:
“Ti voglio bene lo stesso… anche se non ti va mai bene niente”.
“Anche io Alda, anche io”.
Ci abbracciamo illuminati dallo schermo televisivo.

(Tutanrab)

 

 

 



   
 
 

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