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A volte, quando si è un grande scrittore, le parole vengono così in fretta che non si fa in tempo a scriverle... A volte. (Snoopy)
 

 Attualità - gennaio 2008

 

 

Versi liberi. O liberi versi? di Nicoletta Bartolini  

 


Soltanto un cattivo poeta potrebbe accogliere il verso libero come una liberazione dalla forma” – comincia con questa citazione di Elliot da parte di Elio Pecora il III Seminario tenutosi il 23 gennaio 2008 presso la Biblioteca della Camera dei Deputati, a cura della Universitas Montaliana di poesia, nell’ambito della rassegna letteraria “Inediti in biblioteca”.

Il tema dell’incontro “Il romanzo del verso libero, l’avventurosa nascita della poesia moderna” viene affrontato subito da Maria Luisa Spaziani ed Elio Pecora fugando il campo da ogni equivoco: il verso libero non è sinonimo di improvvisazione, né di spontaneità. E la versificazione non funziona indipendentemente dalla significanza.  Questo per dire che la parola porta dentro di sé un significato intrinseco, che è quello che risuona e dà forza all’espressione. Soltanto la parola portata al suo estremo di tensione diventa poesia.
Certamente con l’introduzione del verso libero cadono gli obblighi metrici, ma esiste comunque un ritmo interno ai versi stessi, dal quale non è possibile prescindere.  Si tratta di ricercare quel qualcosa in più del linguaggio comune, di uno sforzo per andare a recuperare nel profondo quelle parole che possano comunicare determinate sensazioni e concetti. Quelle parole, soltanto quelle. Insostituibili.
E’ una concentrazione del linguaggio; la poesia obbedisce a una musica interna, è un dono.
Tutto questo ovviamente non va confuso con la vuota ricerca di un fraseggio elegante, per un puro godimento esteriore.
Ci deve essere una profonda risonanza interna, qualcuno ha detto (non ricordo la fonte – n.d.r.)  che la poesia è fra una parola e l’altra, è nel bianco delle pagine che spinge le parole.
Sinceramente non conoscevo Elio Pecora, così ho fatto una breve ricerca e ho letto qualche poesia. Eccone una:

L'ultimo canto
Forse la prova fu in questo andare per acque
mai ferme sotto i cieli, sopra gli abissi,
incontro a porti segnati su logore mappe,
e ancora in questo snodare funi d'inganni,
chiusi dentro l'inganno che tutto include,
così seguitando le attese, le congetture.
Dunque sostiamo fra le mura e gli arredi
dicendoci eventi remoti, grovigli di storie,
il colmo amore attimo fulminante,
il nostro, il loro ultimo esteso dolore,
un canto accennando, breve come un saluto:
"..la segreta allegria
di starsene affacciato,
il cammino malcerto
nel percorso tracciato,
l'arbusto che infoglia,
il cielo che imbruna,
dentro i vetri la luna.."


Si può imparare a scrivere versi liberi? La risposta che emerge dal Seminario è: no. Non si può imparare a fare un verso libero, che porta sempre impresso il DNA  del poeta che lo scrive. Né si può insegnare.

L’incontro è stato arricchito dalla lettura – tra l’altro – di “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio e de “L’anguilla”, di Eugenio Montale, definita come uno dei vessilli del verso libero, tra i componimenti più  difficili da comprendere e la cui spiegazione è stata rimandata a un successivo incontro.

L’Anguilla (di Eugenio Montale)
L'anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre piú addentro, sempre piú nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d' acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d' Appennino alla Romagna;
l'anguilla, torcia, frusta,
freccia d'Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l'anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l' arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito:
l'iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell' uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?


E qui si aprirebbe una bella discussione letteraria. Spiegare la poesia o non spiegare la poesia? Molti affermano che l’arte – qualunque tipo di arte – non si può spiegare: si tratta di una adesione dello spirito a un’espressione artistica, di un “sentire”, che c’è, oppure non c’è. Spiegare un quadro o una scultura o una poesia – ove possibile - vorrebbe comunque dire, in qualche modo, distruggere l’opera.
Invece qui si parla di voler “spiegare” questa poesia di Montale, che presenta – come afferma la Spaziani – almeno sette passaggi molto delicati e difficili... ma solo perché Montale è un poeta “scolastico”? O perché invece esiste davvero un modo – e una volontà -  per poter avvicinare l’arte a un pubblico il più vasto possibile, che non sempre possiede un retroterra culturale che gli consente la fruizione della poesia (ma anche della pittura, della scultura, ecc.), ma che comunque desidererebbe riuscire a comprenderla e ad apprezzarla?

Invece, un’altra questione resta nell’aria alla fine dell’incontro, che riguarda la lettura delle poesie.
Dal pubblico, infatti, un’obiezione: ottima interpretazione quella del professionale lettore, ma... la vera fruizione della poesia, il vero contatto con il poeta può avvenire soltanto con una lettura silenziosa, a tu per tu. In un muto colloquio tra le anime, non mediato dalla voce di terzi.

Termine del Seminario e appuntamento al 13 febbraio per “La scoperta di lati inesplorati in un grande poeta che si crede di conoscere: Giovanni Pascoli”.

Intanto, in chiusura dell’articolo, un nostro omaggio alla poetessa relatrice della serata, Maria Luisa Spaziani. Riportiamo una delle sue poesie:

 

La morale facile (Maria Luisa Spaziani)


Raccolgo sabbia a secchi. Se ne faccio piramidi

si sgretola, scivola in un sussurro.


Dovevo saperlo: lo splendido passato


era inadatto a fasti imperituri.



Passeggìo a Colle Oppio fra i lillà.


Loro sanno rinascere, noi no.


La morale è assai facile: bisboccia


il Colosseo a ogni primavera?



Il Colosseo è soltanto lo specchio


di ogni volto umano che ha vissuto.


E ora è anche il mio: quante rughe


– presto macerie – brillano nel sole.



 

Mostra su Alexei Kyrillof di Francesca Crostarosa 

ALEXEI KYRILLOFF
a cura di Bibi Alfonsi e Alessia Montani

Dal 14 gennaio al 23 febbraio 2008
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 19.00

Via Metastasio 15 - Art Gallery & Store. Roma, via Metastasio 15, (Piazza Firenze-Pantheon)
Tel +39 06 68 71 380
www.viametastasio15.it Kyrilloff Web Site


Via Metastasio 15 continua il suo cammino verso la ricerca e il ‘ri-trovo’ dell’arte del bello. Questa volta ospita nel suo salotto culturale Alexei Kyrilloff, pittore iconografo nato a Leningrado, l’attuale Pietroburgo. Sguardo felice e occhio vispo, Kyrilloff è ben lontano da quella tipologia di pittori dannati e disperati che si rifugiano nella propria arte per scappare da una realtà aspra e alle volte troppo crudele. Lui si presenta così, sorridente e fiero della sua terra natia "Io sono nato a Leningrado" anche se poi per un periodo ha vissuto in Francia, per trasferirsi "per amore" definitivamente in Grecia, precisamente ad Atene dove vive con la sua compagna. 

Nelle sue opere, che variano dai dipinti di icone a rappresentazioni tridimensionali, si può ritrovare una piccola traccia di tutte le sue tappe, le figure algide che ricordano la Russia intrecciate con dei sguardi frivoli che suonano di note francesi, sembra quasi sentire la vie en rose di sottofondo con i suoi suoni caldi e l’atmosfere da boulevard, fino ad arrivare alla calma tradizionalmente greca fatta di ouzo e di tramonti infiniti che, per ora, rappresenta il punto di arrivo dell’artista. Un’oasi di pace trovata dopo tanta ricerca. Come lui stesso racconta, ciò che ha sempre ricercato è la libertà di vivere potendo esprimere e portare avanti i suoi messaggi.          

Quasi ci si incanta ad ammirare le sue opere, soprattutto ci si perde nelle geometrie delle sue scatole, ricche di materiali dorati e bronzati, con figure asimmetriche che fanno viaggiare la fantasia di chi le osserva. Un applauso è doveroso alle organizzatrici Alessia Montani e Bibi Alfonsi, perché riescono a creare questi piccoli momenti d’estasi, dove la mente si libera e l’occhio si bea, e si conoscono vite parallele, testimoni di avventure e tesori da raccontare. La bellezza di poter sentire un pittore che parla delle sue opere con altri artisti, al tempo d’oggi è cosa assai rara da trovare, riuscire a cogliere quel messaggio di chi ha la capacità di trasmetterlo in un modo elegante e gentile, lontano da quell’arte aggressiva e graffiante che porta con sé la difficoltà e la macerazione del bello.        


Ciò che invece si legge tra le righe degli eventi organizzati da Bibi e Alessia è proprio la voglia di regalare questi brevi e intensi ‘momenti d’estasi’, una sorta di ritorno all’età del ottocento quando di moda erano i circoli culturali dove donne e uomini si scambiano opinioni e scoprivano nuovi tesori provenienti da mondi vicini e lontani. Tutto ciò per scoprire, svelare e descrivere tante storie che riescono ad accrescere la vita di ognuno.

 

Hard Case Crimes – il fascino delle detective's stories di Giancarlo Manfredi

 

- Okay Marlowe –I said to myself – You're a tough guy. You've been sapped twice, choked, beaten silly with a gun, shot in the arm until you're crazy as a couple of waltzing mice. Now let's see you do something really tough. Like putting your pants on.-

Siamo sul finire degli anni Trenta e qualcosa cambia nel genere letterario poliziesco classico, quello, per intenderci, della tradizione inglese, fatto di deduzioni, sottili indagini e eleganti colpi di scena finali.
Del resto è la Storia che sta andando sempre più veloce; è l’economia americana (e mondiale) che, ricevuto il suo primo colpo da knock-out, sta ripartendo con nuovi ritmi.
E’ logico pertanto che la vecchia criminalità, il “racket”, debba riorganizzarsi per scovare “nuovi business” e che la polizia sia costretta a mettere in campo altrettanto “nuove tecniche di indagine”.
Così la letteratura popolare, quella delle “rivistacce” per intenderci, antenna e specchio della società a lei contemporanea,  capta immediatamente quelli che oggi definiremmo come le nuove tendenze.
Ecco allora il poliziesco d’azione: nuovi fondali, metropolitani, nuove trame, basate su violenza, prostituzione, droga e un nuove figure narrative: gangster, detective e dark lady.
E’ la letteratura pulp, storie di strada scritte con un linguaggio incisivo, breve, diretto, che racconta il disagio di una società, quella americana appunto, sempre più basata su potere e denaro.
La fame, quella vera, della recessione è diventata fame di affermazione in un mondo che lascia ai margini i perdenti.


She was a charming middle-aged lady with a face like a bucket of mud. I gave her a drink. She was a gal who'd take a drink, if she had to knock you down to get the bottle.

Così entrano in scena le figura degli investigatori/antieroi, da Sam Spade a Mike Hammer passando per Philip Marlowe, i cosiddetti “bad loser”, pessimi perdenti, pronti a vendere il loro talento poliziesco al miglior offerente, nel disprezzo di un mondo che li ha traditi.
Il classico detective non si limita a risolvere i casi, ma ne rimane coinvolto, spesso trovandosene ad affrontare la violenza. Uomini duri e amati dalle donne (e dai lettori), impudenti, freddi, irriverenti, servitori di nessuno, guidati da un’etica individuale e da una visione relativistica della giustizia: “La maggior parte della gente consuma metà delle proprie energie cercando di proteggere una dignità che non ha mai posseduto.” (da Il lungo addio)
Il cliché è quasi universale: il detective è un tipo solitario che ostenta atteggiamenti da "macho". Non ha una famiglia, vive solo, spesso dormendo in una brandina nel retro stesso del suo ufficio; persegue uno stile di vita dal sapore di uova fritte, caffè nero, sigarette e bourbon, perennemente in bolletta.
Ancora luoghi comuni. Il detective viene assunto da bellissime clienti platinate per controllare mariti infedeli, salvo poi scoprire che la sua funzione è quella di fornire alibi ad efferati omicidi. Spesso il detective è un ex poliziotto con alle spalle una storia di ingiustizia e di corruzione: da qui il suo atteggiamento ambiguo nei confronti della “giustizia”.
Una locazione importante dove rintracciare i nostri eroi sono i fumosi e poco illuminati locali notturni, covi “immorali” di informatori, ma anche teatri di bevute, risse e pestaggi.
In fondo le storie narrate nei romanzi hard-boiled sono assimilabili a vere e proprie odissee attraverso malinconici scenari urbani di Los Angeles, New York o Chicago.

 

I don't know which side anybody's on. I don't even know who's playing today.

In questo contesto Raymond Chandler, il primo e più famoso autore del genere, pubblica nel 1939 il suo primo romanzo, “Il grande sonno”.
Ha cinquantuno anni e dice: “Quando ho cominciato a scrivere, il massimo che mi proponevo era giocare con un nuovo, affascinante linguaggio, vedere cosa riusciva a combinare come mezzo di espressione capace di restare a un livello non intellettuale e di acquistare tuttavia il potere di comunicare un certo numero di informazioni di solito somministrate in tono letterario.”
Chandler, inizialmente valutato come un onesto artigiano della letteratura, è in realtà molto critico verso il romanzo giallo tradizionale per la sua mancanza di realismo: affermava infatti che “Almeno la metà dei racconti gialli pubblicati viola la regola che la soluzione, una volta svelata, deve sembrare inevitabile.”
Il suo stile, frasi brevi, incisive, veloci e con pochi aggettivi, per descrivere incisivamente le psicologie dei suoi personaggi, lo ha reso non solo uno scrittore di genere, ma un autore che viene oggi considerato esponente non marginale del modernismo.
Non è un caso che a Marlowe si ispirino tantissimi personaggi letterari, televisivi e cinematografici: persino la saga america di fantascienza “Star Trek” ha officiato il suo contributo alla letteratura hard-boiled con il personaggio “olografico” di Dixon Hill, alter ego chandleriano del capitano dell’Enterprise in avventure nel mondo della fantasia.  
E ancora fumetti, parodie e romanzi di genere come quello scritto da Douglas Adams (autore della “famigerata” Guida galattica per autostoppisti), che ispirandosi a Marlowe a creato il divertente personaggio di “Dirk Gently”, l’investigatore olistico.

 

You shouldn't kiss a girl when you're wearing that gun... leaves a bruise.

 

Dal romanzo al grande schermo il passaggio è breve: non per caso siamo ancora nel periodo d’oro di Hollywood.
Ma qualcosa cambia nella trasposizione, nonostante la consulenza degli autori letterari.
Si insinua una visione romantica, dietro la cattiveria delle storie c’è la speranza del lieto fine. L’eroe viene sì tradito, pestato, sparato, lanciato da un auto in corsa, ma alla fine riesce a togliersi qualche soddisfazione. Noi tutti sappiamo che sotto la scorza del duro c’è un inguaribile “buono”.
In realtà il termine “hard-boiled”, nonostante l’alone romantico mutuato dai film, ha una visione per nulla sentimentale del crimine, della violenza e del sesso: è una letteratura pulp.
Appunto.
L'espressione “noir” è invece coniata dalla critica cinematografica francese alla fine della Seconda guerra mondiale quando arrivano in Europa i film statunitensi girati negli anni '40.
L’elenco dei film sul genere è lungo (almeno 250 pellicole), ma impedibili sono certamente i primissimi: “Lo sconosciuto del terzo piano”, “Il mistero del falco” (tratto dal romanzo di Dashiell Hammett “Il falcone maltese”), “Vertigine”,  “La fiamma del peccato”. Da ricordare la versione de “Il lungo addio”, diretta nel 1973 dal regista Altman.

  

How do you feel now, Marlowe? Like a duck in a shooting gallery.

 

Mi trovavo con le spalle al muro e non era la prima volta nella mia vita.
Controllai ancora una volta la Colt a canna segata, l’unica amica che non mi avesse ancora tradito.
Ogni volta che finisco in queste situazioni, in qualche vicolo lercio e scuro, nell’attesa che una banda di gorilla psicopatici venga a pestarmi, mi torna in mente la stessa domanda: ne valeva veramente la pena per dieci dollari l’ora più le spese?
Pensando agli occhi verdi e alla generosa scollatura nel vestito a fiori di Lola conosco da sempre la risposta.
In fondo ciò che mi seccava veramente non erano le sue bugie, tutti avevano mentito in questo caso, fin dall’inizio.
Il fatto era che avevo rovinato i pantaloni migliori e stracciato il polsino della mia ultima camicia decente.

 

 

 
 



   
 
 

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