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A volte, quando si è un grande scrittore, le parole vengono così in fretta che non si fa in tempo a scriverle... A volte. (Snoopy)
 

 Attualità - dicembre 2007

 

“Inediti in Biblioteca” – L’aforisma di Nicoletta Bartolini

 

- Che cosa sarebbe oggi Kafka, se non avessero inventato l’aggettivo “kafkiano”?
- Non parlatemi del successo, purtroppo è un participio passato; parlatemi di ciò che succederà.
- Ha scavato così profondamente in se stesso da sbucare dall’altra parte.
Gli aforismi di  Maria Luisa Spaziani. Questa la chicca del secondo seminario che si è tenuto il 12 dicembre scorso nell’ambito della Rassegna letteraria “Inediti in Biblioteca”, a cura della Universitas Montaliana di Poesia, presso la Biblioteca della Camera dei Deputati, avente ad oggetto proprio gli aforismi.
Ma che cos’è un aforisma?
         “Un lampo di ingegno” - viene definito dal Prof. Giampiero Gamaleri, che affianca la poetessa – che ha la caratteristica di dare una scossa alla nostra attenzione, ma di farci navigare in modo superficiale. Oggi due aree sono particolarmente interessate dal fenomeno dell’aforisma: la pubblicità e il giornalismo. Ci viene fornita una “cultura a mosaico”, fatta di tanti pezzettini che poi ricomponiamo per avere un quadro della realtà: basti pensare a un telegiornale, composto da 25 – 30 servizi da un minuto e venti secondi circa. Tanti piccoli flash, sempre più concisi, sempre più aforismatici. E anche nel giornalismo della carta stampata si riscontra lo stesso fenomeno: tutto è aforismatico, il titolo, la foto... l’approfondimento riguarda un altro momento (che si spera ci sia).
         La Spaziani lo definisce “uno sbaglio di natura”, qualcosa in cui ci si imbatte casualmente, grazie a una scintilla del pensiero. Ricorda Montale quando parlava di “anello che non tiene” e ci mette al centro della verità.
Non ci può essere aforisma dove il tessuto è integro; esso deve uscire dai limiti, essere trasgressivo, dimenticare il buon senso, la borghesia, la buona educazione.
E da dove arrivano gli aforismi? Da molto lontano, ci racconta Maria Luisa Spaziani, cominciando a ricordare Ippocrate, con i suoi 60 libri di aforismi, donati alla biblioteca di Alessandria (poi andata distrutta), e destinati ad essere studiati e amati – quelli scampati all’incendio – fino al 1800, quando anche la medicina – affidata allora ai cosiddetti “praticoni” – si rivolgeva a quegli aforismi per cercarvi le cure per ogni malanno.

Maria Luisa Spaziani è una elegante signora che coltivò un lungo sodalizio di amicizia e poesia con Eugenio Montale e che oggi, qui, parla con garbo e con apparente leggerezza, sorvolando spazio e tempo, citando grandi uomini della letteratura e della cultura in genere, i loro pensieri, i loro aforismi.
I latini con Catullo: Odio e amo. Perché io faccia questo, forse domandi. / Non lo so. Ma sento che accade e mi tormento.
La Rochefoucauld: Il commercio più lucrativo di questo mondo sarebbe comprare le persone per quello che valgono e rivenderle per quello che credono di essere.
Dunque esprimere sinteticamente ciò che altri direbbero in un libro. E quindi, nominando Nietzsche e la sua avversione per Kant, Hegel, Schleiermacher e soprattutto Schopenhauer (al bando quindi tutto ciò che è geometrico, verificabile), oltre al suggerimento di “ammazzare Wagner” e la sua pericolosissima perfezione, si continua  esempi altalenanti:
Marcel Proust: Non si ama più nessuno, quando si ama.
Gesualdo Bufalino: Conosci te stesso. Fossi matto (esempio di aforisma nato dalla contaminazione).
Stanislav Lez: Gli uomini hanno riflessi lenti e infatti capiscono nelle generazioni successive.
Eugenio Montale: Ci vogliono troppe vite per farne una.
E così via, in un susseguirsi di piccole e grandi verità raccontate e suggerite a volte con pungente ironia, a volte in modo malinconico, ma sempre efficace.
Conclude la serata una serie di aforismi di Maria Luisa Spaziani (che ne ha scritti circa 500 e spera presto di raccoglierne alcuni in un libro!). Ne abbiamo scelto, per il finale, uno sull’amore:
- E ora parliamo un po’ di te: mi ami?

 

 

L'ortografia non è la grafia dell'orto - Francesco Guadalupi - intervista (di tuttiscrittori.it)

Scopo principale di questi semiseriosi ortosproloqui è non tanto quello di fornire risposte certe (talvolta lo si fa), quanto di alimentare (se vi sono) o far sorgere (se non vi sono) dubbi: meglio, insicuri, ricorrere cento volte a una fonte illuminante (dizionario, insegnante, encicopledia) e scoprire con  piacere  “era come pensavo” – piuttosto che crogiolarsi su tronfie certezze e magari lasciarci le penne
L’incontro con il Professore Francesco Guadalupi avviene in una deliziosa libreria in via Giolitti, vicino alla Stazione Termini, a Roma. “Esquilibri” si chiama: un posto simpatico, semplice,  traboccante sana voglia di divulgazione culturale, con un occhio di riguardo al settore scolastico, ma esteso ben oltre, a tutto il panorama letterario. Tre gentili signore si occupano di ogni cosa, compreso l’angolo caffetteria e l’atmosfera si percepisce subito accogliente, ti invoglia immediatamente a voler tornare.
Una breve attesa e finalmente arriva lui, il Professore, che chiede subito di volergli dare del tu, perché così è abituato a relazionarsi, con semplicità e immediatezza.  E’ qui per presentare il suo libro sull’ortografia, un “breviario” quasi, per eliminare definitivamente tutti quei piccoli dubbi che a volte ci assalgono mentre scriviamo, o anche quelli che purtroppo nemmeno ci sfiorano!
Conquista subito l’uditorio, tra cui due bambine di seconda elementare, che pure riesce a coinvolgere e che – come tutti i presenti - prontamente rispondono alle sue sollecitazioni verbali, ad esempio sull’apostrofo, ma anche su altro.
Esempi:
Nessun altronessun altra: dove va l’apostrofo? Dove non va?
Sognamosogniamo: con la “i” o senza?
Sàlubresalùbre: qual è la pronuncia esatta?
E come facciamo a saperlo?
Per la soluzioni di questi ed altri dubbi, lui svela piccoli trucchi che vanno oltre la semplice regola ortografica.
Ma abbiamo chiesto direttamente qualche chiarimento in merito.

Professore, di che cosa si tratta, ci può svelare qualcuno dei “trucchetti” che insegna nel libro, o magari uno diverso, che sul libro non c’è?

  A volte, secondo me, le regole vanno studiate dopo che la cosa è stata appresa, in quanto la loro frequente difficoltà linguistica può essere una delle cause di difficile apprendimento. E allora, che si fa? O ripetere piú volte la cosa o, spesso meglio, la mnemotecnica (o entrambe le modalità). Due esempi:

* Come si scrive la parola taccuino?Con due c, come tacchino. E che c’entra il tacchino? Non c’entra proprio per niente, ma proprio per questo te lo farà ricordare!

* Qual è l’aggettivo di seta (nel senso non di “somigliante alla seta”, come setoso, ma “fatto di seta”)? L’aggettivo è sérico.
Perché? E come faccio a ricordarlo?Intanto rispondo al perché: serico deriva da Seres, popolo dell’Asia Centrale, famoso nell’antichità per la fabbricazione e la lavorazione della seta. E   come faccio a ricordarlo? La parola Seres è palindroma, cioè si legge sia da sinistra a destra che da destra a sinistra.
Molto interessante è l’espressione “vino serico”, cioè morbido come lo è la seta.

Lei ha insegnato per molti anni in scuole diverse, ma perchè è davvero ancora così importante l’ortografia? Si dice che alcuniscrittori, anche ottimamente pubblicati, non sappiano nemmeno di cosa si tratti... tanto c’è il correttore di bozze che pensa a tutto...

    Non sono pochi gli scrittori che commettono errori di ortografia. E’ vero che c’è il correttore di bozze (l’ho fatto per molti anni e occasionalmente lo faccio ancora), però sono vere pure altre due cose:

* alcuni editori non lo hanno;

* molto si fidano del fatto che il computer segnala (spesso con sottolineatura rossa) gli errori; in realtà segnala non gli errori, ma le parole che in lingua italiana – secondo lui (e non lo fa    sempre bene…) - non esistono. Non ti fa capire se una  determinata parola – in quella frase -  sta bene o no; due esempi:

            ° “Ho perduto il mio taccuino” (il computer ti presenta sottolineata la parola e tu comprendi che qualche cosa non va).

            ° “La maestra e simpatica” (il computer non ti segnala l’assenza dell’ accento sulla vocale “e”, in quanto la parola “e”, senza accento, in lingua italiana esiste). 

Se per gli scrittori il discorso sull’ortografia sta cosí, in altri ambiti le cose stanno diversamente:

* a scuola, è necessaria, qualunque sia la classe;

* all’università pure (anche se purtroppo…);

* nei concorsi può essere (anzi è) motivo di esclusione, specialmente se si tratta di cattedre di lettere o filosofia o lingue estere;

* nei documenti ufficiali (come domanda di lavoro o curriculum) dà informazioni abbastanza significative sulle persone che li hanno redatti.

E nella vita quotidiana, purtroppo, il dizionario apocrifodei messaggini, il gergo utilizzato nelle mail, la fretta nelle comunicazioni scritte, sono ottimi alibi per lasciar scorrere in secondo piano la povera ortografia. Non sarà una battaglia persa?

*Non è una battaglia persa (almeno, lo spero), non fosse altro che per le ragioni indicate nel punto in precedenza.Messaggini, brevità e gergo in e-mail, fretta sono motivi rilevanti e, purtroppo, anche persone che conoscono l’ortografia tendono a perderla.

Questo libro parla un linguaggio semplice: nasce per i bambini ed è diretto a loro soltanto?

      E’ diretto anche alle ex bambine e agli ex bambini per almeno due ragioni: per loro stessi e per aiutare bambine e bambini.

E’ pensiero diffuso che ormai, dopo una certa età (non ben definita) non sia più utile o necessario o possibile sradicare certe abitudini, anche grammaticali.

Ritengo che, dopo una certa età (che non è necessariamente una età certa…), è a volte utile, altre volte necessario, sradicare certe abitudini, anche grammaticali, secondo l’ambito in cui si opera: anche se, di fatto, ci si regola di volta in volta, a rigore dovrebbe essere necessario sempre (sempreeeeeeee…).

La lingua italiana è davvero spesso ingannevole però. Anche le espressioni “vado a prendere il treno” o “mi scuso per il ritardo” sono passibili di bacchettate, giusto?

Vado a prendere il treno”, “Mi scuso per il ritardo”: i linguisti sono orientati ad accogliere (inizialmente sopportando…) certe espressioni, tanto, molto diffuse (su un dizionario ho trovato anche “sufficente”, senza la “i” dopo la “c”, con una precisazione piú o meno simile a questa: la forma errata è tanto diffusa, che possiamo cominciare ad accettarla).

Se è vero che non sono io a prendere il treno, ma è il treno a prendere me, è però anche vero che l’espressione è già molto diffusa e il senso è molto evidente.  

         Per quanto si riferisce alla frase “Mi scuso per il ritardo”, il discorso è simile (è interessante sapere che classicamente “scusarsi” ha il senso di  “perdonarsi”, significato ormai perduto da tempo: “Mi perdono per il ritardo”…).     
 
C’è un punto nel libro in cui chiarisce la differenza tra l’essere  “dimenticati” e l’essere “scordati” da qualcuno... ce ne vuole parlare brevemente qui? Lei cosa preferirebbe, dovendo e potendo scegliere?

  “Dimenticare” significa “allontanare dalla mente” e “scordare” significa “allontanare dal cuore”; “rammentare” significa “avvicinare, ri-accogliere nelle mente” e “ricordare” significa “avvicinare, ri-accogliere nel cuore”.
     Io preferisco “essere dimenticato” (e non scordato) e poi “essere ricordato” (e non rammentato).

Sappiamo che oltre ad essere profondo conoscitore ed esperto della lingua italiana, ama anche la matematica ed ha scritto anche un libro che ne tratta in modo molto particolare... perché? Vuole spiegarlo ai nostri lettori?

     L’interesse per la matematica deriva principalmente dal mio insegnante (di matematica) nella scuola secondaria superiore, oltre che dallo studio della filosofia. Alcuni esempi:

* se uno di noi alunni diceva: “Tiro un segmento”, l’insegnante (siciliano) commentava. “Elastico è?”;

* se un alunno diceva: “Piú 5 e meno 5 se ne vanno”, lui, calmo, si alzava e apriva la porta dicendo: “E noi, che siamo educati, li aiutiamo a uscire”; 

* se uno diceva: “Prendiamo un punto”, lui aggiungeva:” Tu saresti stato invidiato da Euclide: pensa un po’, lui riusciva solo a segnarlo, individuarlo, fissarlo, mentre tu riesci addirittura a   prenderlo.

Possiamo chiedere un regalo per gli amici di www.tuttiscrittori.it? Abbiamo una “Vetrina” riservata ai racconti d’Autore e sarebbe un grande onore ospitare un suo scritto. Ci regala un racconto matematico?

Ne invio cinque, di livelli vari: decidete se e quale (o quali) utilizzare.

 

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Non c’è che dire, cultura e simpatia non mancano al nostro Professore (pedagogista, psicologo, insegnante e con l’hobby della didattica della matematica)... quasi quasi ci rimetteremmo il grembiulino di scuola, guarda un po’!
Intanto lui ci dedica un augurio su una copia del suo libro, che metteremo in palio per il prossimo quiz.
Ma attenzione: nella dedica, tanto per rimanere in tema, è appositamente inserito un bell’errore, altro che ortografico: addirittura grammaticale!

Grazie Prof.!

 

 
 



   
 
 

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